Il musicarello è il nome dato negli ambienti romani a un sottogenere cinematografico italiano che ha due caratteristiche fondamentali: la prima, è supportare un cantante di fama e il suo nuovo album discografico; la seconda è il riferimento costante alla moda e alla gioventù, anche in versione vagamente polemica nei confronti dei matusa. Sono presenti quasi sempre la vita da spiaggia e tenere caste storie d’amore, coadiuvate dalla voglia di divertirsi e ballare senza pensieri.
Il filone iniziò negli anni cinquanta, ed ebbe il suo apice di produzione negli anni sessanta; è chiara la connotazione popolare fin dagli inizi, quando è dedicato al pubblico di musica melodica, che abbraccia, quindi, uno spettro indiscriminato di gusti ed età; le differenze emergono invece quando il musicarello, alla metà degli anni sessanta, svolta verso cliché di spensieratezza, e presenta cantanti che si rivolgono al Rock and roll e al Beat, e si rivolge, dunque, ad un pubblico di giovanissimi; anche se non manca di riflettere la voglia ed il bisogno di emancipazione dei giovani italiani, rendendo noto qualche screzio generazionale.
In questo senso il confronto è tra i cantanti tradizionali, i cosiddetti melodici, ad esempio Claudio Villa, e gli urlatori, nome che tra gli anni cinquanta e sessanta, cioè il periodo del boom economico, viene affibbiato, con connotazioni negative, alla schiera di giovani cantanti emergenti, Adriano Celentano e Mina in testa; infatti il nome verrà presto lasciato in favore di aggettivazioni anglofile (ad esempio rocker). I film che iniziano il sottogenere schiettamente giovanilistico sono I ragazzi del juke-box del 1959 e Urlatori alla sbarra (1960) entrambi diretti da Lucio Fulci; in quest’ultima pellicola il protagonista è Chet Baker, allora residente in Italia.
Secondo il critico cinematografico Stefano Della Casa il nome, già in uso all’epoca, “musicarello” farebbe il verso al più celebre Carosello, sottolineandone così l’aspetto pubblicitario, senza dimenticare la presenza costante degli stessi protagonisti nelle pubblicità.
Alla base del musicarello c’è una canzone di successo, o destinata, nelle speranze dei produttori, ad averlo, che dà il titolo al film stesso. Lisa dagli occhi blu, ad esempio, racconta nel film la stessa vicenda presente nel testo della canzone di Mario Tessuto, noto cantante di allora; il genere non si avvale quindi dell’effetto sorpresa. Il principale riferimento nobile è il musical, il modello estero contemporaneo è dato dai film con Elvis Presley con pellicole dal titolo: Il delinquente del rock and roll (Jailhouse Rock) del 1957 di Richard Thorpe, o il precedente Fratelli rivali (Love Me Tender, 1956) di Robert D. Webb.
Il declino del musicarello melodico fu evidente già a metà del decennio per poi riprendere consistentemente la produzione tra il 1967 e il 1970, eccezion fatta per Gianni Morandi, complice la sua partenza per la leva che fu vissuta come un evento dal suo pubblico, che nel 1965 recita e canta in ben quattro film (un quinto lo girò nel 1966) e per i film (tecnicamente definibili lungometraggi) del regista-produttore Tullio Piacentini (Viale della canzone, 008 Operazione ritmo e Questi pazzi, pazzi italiani) che rappresentano ognuno una raccolta di circa trenta cantanti tra i più popolari in Italia e che riempiono le sale cinematografiche. Anche nei decenni successivi si ripresentano, qua e là, film (in qualche caso recentissimi) basati su canzoni italiane (Laura non c’è, cantata dall’italiano Nek, o Jolly Blu vecchio successo degli esordi degli 883) ispirati ugualmente da fini di marketing, cioè di supporto cinematografico alla canzone ed all’artista. Nel 1966 spopola anche Caterina Caselli con Nessuno mi può giudicare come nel 1967 con Io non protesto, io amo.